La festa di Sukkot ricorda la vita del popolo di Israele nel deserto durante il lungo viaggio verso la terra promessa, pellegrinaggio durante il quale gli ebrei vivevano in capanne, le “sukkah” (“capanna” in ebraico).
Le celebrazioni per la festa di Sukkot iniziano il quindicesimo giorno di Tischri (secondo il calendario ebraico) ovvero cinque giorni dopo il giorno del perdono, la festa di Yom Kippur. I bambini raccolgono rami, pezzi di legno e paglia per costruire una sukkah, una capanna. Intrecciano ghirlande, appendono della frutta e fanno disegni per decorare le capanne, facendo così rivivere una tradizione millenaria, quella dei loro avi nomadi che Dio proteggeva e riparava nel deserto.
Durante sette giorni, bisognerebbe consumare i pasti in questi ripari di fortuna. Se non si possiede un giardino o un terrazzo, si può riunirsi nella sukkah della propria comunità. L’idea è di ricordarsi che tutti i beni materiali di cui godiamo ogni giorno sono fragili e possono sparire. Nel libro che si chiama l’Ecclesiaste, è detto: “Vanità delle vanità, tutto è vanità.”
Ogni mattina, durante il servizio in Sinagoga, gli ebrei praticanti intonano dei salmi, agitando con la mano destra un ramo di palma guarnito di foglie di salice e di mirto (il lulab) mentre tengono un cedro nella mano sinistra. I salmi iniziano quasi tutti con la parola “alleluia”, che significa “Lodate Dio”.
L’ultimo giorno di Sukkot si chiama Simhat Torah che significa “la gioia della Torah”. Adulti e bambini (maschi e femmine) cantano e ballano nella sinagoga con i Rotoli della Torah. In Italia, è usanza lanciare caramelle e vari dolcetti sui danzanti ed in particolare sui bambini.
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